Il valore della perizia di parte nei giudizi di responsabilità medica

20 novembre 2020

Cosa serve per accertare la responsabilità medica di un professionista o di una struttura sanitaria

Quando in giudizio si chiede che venga accertata la responsabilità medica di un professionista o di una struttura sanitaria in relazione ai danni fisici, morali e patrimoniali subiti a seguito di un intervento, a sostegno della richiesta risarcitoria avanzata è onere di chi agisce dimostrare che il professionista, ovvero la struttura sanitaria ove questi ha operato, non abbiano rispettato il dovere di diligenza su loro incombente in relazione alla specifiche obbligazioni ex art. 1176, comma 2, c.c..

A prescindere, pertanto, dalla qualificazione dell'obbligazione medica come di mezzi o di risultato, e dalla natura della responsabilità della struttura sanitaria come contrattuale - per contratto di spedalità o contatto sociale con il sanitario della struttura - ovvero del sanitario – per contratto o extracontrattuale - , occorre che ne venga provato l'inadempimento o l'inesatto adempimento.

Uno sguardo alla Giurisprudenza

La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha chiarito, con orientamento oramai consolidato, che incombe sul danneggiato l'onere della prova del titolo dell'obbligazione (da contratto o da contatto sociale, per la struttura; contrattuale o extracontrattuale, per il professionista), nonché l'allegazione dell'inadempimento della struttura sanitaria o del professionista, ovvero la prova dell'inesattezza dell'adempimento dovuta a negligenza o imperizia, mentre grava sul sanitario o sulla struttura medica provare il proprio esatto adempimento e dunque la mancanza di colpa nell'esercizio della prestazione. (ex pluribus Cass. 11488/04).

In particolare il paziente deve provare e allegare l'inadempimento consistente nell'insorgenza della situazione patologica lamentata per l'effetto dell'intervento, ovvero il nesso causale; mentre resta a carico della struttura sanitaria o del professionista sanitario la prova della diligenza della prestazione e che gli eventuali esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile, non evitabile anche avendo osservato le regole tecniche e precauzionali del caso. (Cass. n. 10297/04; Trib. Roma, Sez. XIII, Sent. 10/06/2020).

E questo tenendo conto quanto già precisato dalle S.U. della Cassazione ossia che “all’ammalato-creditore basterà allegare un inadempimento del debitore che sia “qualificato”, cioè astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato: starà poi al debitore dimostrare che l’inadempimento non c’è stato o che, pur esistendo, esso non è stato rilevante sotto il profilo eziologico (nella specie la Corte ha accolto il ricorso di un paziente che sosteneva di aver contratto l’epatite C dopo le trasfusioni praticategli per un intervento effettuato in una casa di cura, cassando con rinvio la sentenza di merito che imponeva all’ammalato l’onere di dimostrare il nesso causale fra l’emotrasfusione e la patologia contratta oltre che di provare che egli non fosse portatore della malattia prima del ricovero) (Cass. Civ. Sez. Un. N. 577/2008).

Il paziente che si ritiene leso dovrà pertanto, in ogni caso, priva di svolgere una qualche domanda giudiziale, procurarsi una perizia di parte, rivolgendosi, per questo, ad un medico legale che dovrà interpretare le evidenze scientifiche disponibili, nel rispetto di una rigorosa oggettività valutativa.

Visitato il paziente e redatta la perizia, il medico legale incaricato dovrà anche fornire al proprio Cliente tutti i dettagli esplicativi del giudizio tecnico formulato, così da garantire un’adeguata attività di assistenza, specialmente nei casi di non univoca interpretazione.

Nei giudizi di responsabilità medica, una buona perizia di parte, pur non avendo in giudizio valore probatorio alcuno, conserva tuttavia un valore fondamentale perché consente al Leso, e con esso al suo Difensore, di allegare in modo sufficientemente specifico l‘errore, causa del danno, e attraverso questa allegazione non solo chiarire l’oggetto del giudizio; ma e, al tempo stesso, chiarire anche l’oggetto della controprova esigibile da parte della struttura sanitaria o del medico.

Difatti, secondo un recente orientamento della Cassazione (Cass. civ., 15 febbraio 2018, n. 3704) "E’ onere dell'attore, paziente, danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui si chiede il risarcimento; tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario é stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno; se, al termine dell’istruttoria non risulti provato il nesso tra condotta del … ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata".

Con l'aumentare, in maniera esponenziale, del numero delle causa in materia di responsabilità medica, la Cassazione sembra infatti propensa ad adottare criteri di valutazione maggiormente restrittivi.

Resta pertanto un orientamento non maggioritario quello per il quale è in ogni caso "sufficiente che vanga individuata la prestazione asseritamente mal adempiuta e che venga ipotizzato un nesso causale fra la stessa e il pregiudizio lamentato" (Cass. civ., Sez. III, 9 novembre 2017, n. 26516).

A fronte di ciò, sarà pertanto interesse del paziente danneggiato che si rivolge ad un medico legale, tenere un comportamento adeguato alle regole della correttezza  (art. 1175 c.c.) e riferire, in sede di visita, ogni possibile dettaglio e particolare in ordine a quanto accaduto, al suo stato di salute ed alle eventuali sue predisposizioni o patologie pregresse.

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